Oggi è il 26 giugno 2018. Esattamente venti anni fa partivo per il mio primo viaggio in Giappone. Solo tre settimane prima avevo un fidanzato americano e in 22 anni di vita non avevo mai messo piede fuori dall’Italia.
Le premesse per trascorrere un’estate orribile c’erano tutte eppure non era forse questo l’anno della tigre? Non avrebbe dovuto essere questo il mio anno fortunato? E invece ecco qui: l’estate era appena iniziata e non lasciava presagire nulla di buono. Di certo mai mi sarei aspettata tutto quello che sarebbe accaduto di lì a breve, grazie all’intervento di un amico davvero speciale.
C’era questo bel ragazzo -con una passione sfrenata per il disegno- che da circa sette anni faceva parte della mia comitiva: il tomodachi anime (amici dei cartoni animati).
che in Giappone era una delle case di produzione di cartoni animati più famose del mondo (leggi qui come ci è riuscito). Questo giovanotto altri non era che Roberto -il mio attuale fidanzato- allora ventiseienne.
Nel corso del 1997, tempo in cui internet non aveva ancora preso piede, capitava che Roberto mi chiamasse da Tokyo. Fu durante una di queste telefonate, tra il serio ed il faceto, che mi fece promettere di avvisarlo qualora mi fossi ‘sfidanzata’.
Fu così che quando l’americano mi scaricò chiamai immediatamente Roberto, dalla cabina telefonica sotto casa, e gli comunicai l’accaduto. Lui disse semplicemente
Rimasi piuttosto colpita ma allo stesso tempo non capivo se Roberto dicesse sul serio -se mi stesse perculando- o se volesse semplicemente tirarmi fuori da una brutta situazione da vero amico qual era. Fatto sta che qualche giorno dopo chiese ad un’amica comune (e sua socia in affari), di recapitarmi una lettera. Quando aprii quella busta col musetto sorridente di Keroppi sopra, c’erano i soldi per acquistare il biglietto aereo: un milione e duecentomila lire! Viste le circostanze decisi dunque di prendere il biglietto per il Giappone e raggiungere Roberto.
Furono 12 ore di volo lunghissime dove commisi l’errore di sedermi vicino al finestrino. Il che significava rompere le balle, di volta in volta, ai giappi seduti vicino a me, per andare in bagno. Si alternarono momenti di pura euforia con momenti di velata tristezza. Tuttavia, a mano a mano che la distanza che mi separava da questa avventura diminuiva, ho iniziato a scivolare in quella strana dimensione in cui mi ritrovo ogni qualvolta faccia ritorno in Giappone: quella di trovarmi in un universo parallelo appartenente ad un’altra dimensione.
Era sabato mattina e all’aeroporto mi venne a prendere Roberto. Indossava una maglietta rossa “Ferrari” e degli occhiali da sole da “pheego”. Salimmo sul Narita Express, il treno che in un’ora e 40 minuti ci portò a Tokyo. Ricordo l’umidità pazzesca e quel caldo allucinante -mai provato prima- che mi fece scoprire di poter sudare in punti che mai avrei pensato postessero farlo. Ricordo il primo treno della JR con l’aria condizionata a -20°C; le pubblicità appese ovunque all’interno del vagone con le scritte in hiragana, katakana e kanji, nonchè la vocetta del conducente che annunciava le fermate con la stessa voce di Topo Gigio.
Arrivammo a Kokubunji con la linea JR Chuo, la stessa che va a Nakano (all’epoca i vagoni erano completamente arancioni) e da lí cambiammo linea con un treno locale per dirigerci a Takanodai. Ricordo ancora la passeggiata sotto il viale alberato, il fiumiciattolo, il campo da baseball e gli appezzamenti arati prima di arrivare al vecchio edifico della Tatsunoko.
C’era l’insegna col famoso cavalluccio marino (tatsunoko appunto) che indicava la via per arrivare alla ditta e l’appartamento di Roberto, “la maison de jeunesse” ancora presente in loco, a pochi passi dalla Tatsunoko.
Dopo aver posato la valigia -e constatato quanto fosse piccolo un bagno giapponese- andammo subito a comprare il secondo futon da piazzare su nel soppalco, accanto a quello di Roberto. Poi via al ristorante Ichiban dove trovai tutto meravigliosamente buono e dove -pur non capendo una sola parola di giapponese
Ridemmo molto per questa cosa e ovviamente ne fui lusingata tuttavia -per quanto lo avessi sempre trovato attraente e per quanto ci fosse sintonia- non ero ancora in vena di ricominciare una storia. Tuttavia resistetti poco…meno di una settimana! Roberto mi piaceva molto, questa era la verità.
Ricordo che Ippei Kuri (uno dei fondatori e disegnatori della Tatsunoko) aveva promesso a Roberto 2 settimane di ferie ma una volta che fui lì, gliene concesse solo una. Ci rimanemmo davvero male. Motivo per cui, quando ci invitò a cena in un ristorante cinese di lusso, decisi che mi sarei scofanata sto mondo e quell’altro pur di fargli spendere più soldi possibile. Così per rappresaglia. Ah, sto ancora digerendo.
La seconda settimana dovetti andare in giro per conto mio, pur facendo spola a casa di Roberto dove ci ritrovavamo ogni qual volta avesse un istante libero dal lavoro. Non ricordo tanta felicità e spensieratezza come in quel periodo. I problemi che avevo lasciato in Italia sembravano appartenere alla vita di qualcun’altro, di certo non più alla mia. Mi trovavo in un mondo parallelo in un universo completamente diverso da tutto ciò a cui ero abituata dove tutto era nuovo, esaltante, perfetto…in poche parole incredibile!
Le nostre uscite pregne di cazzeggio spese a scattarci esilaranti purikura (le fotine istantanee) da veri bimbominkia e poi la gita con due colleghi di Roberto a Korakuen, il parco di divertimenti con la mascotte dell’anime di Don Chuck castoro. A sinistra Don Chuck nel 1998. A destra rivisitato in una foto “recente” del 2014.
E poi il tunnel dell’orrore ammanettati; le montagne russe a ritroso; il primo Häagen Dazs al tè verde; i mondiali di calcio in cui l’Italia perse contro la Francia (ho da qualche parte la videocassetta registrata e -va detto- i giappi tifavano per noi); il primo homraisu; i kakipi; le camminate sotto la pioggia senza ombrello
la prima passeggiata ad Harajuku nel pieno boom dei look più curiosi tra Kangaroo girls e Gothic lolita; la prima visita a Nakano (il paese dei balocchi di ogni otaku); lo shopping sfrenato al Mandarake che all’epoca era blindatissimo (obbligavano a lasciare zaini e borse negli appositi armadietti ed era severamente vietato fare foto)
Le passeggiate sotto la pioggia senza ombrelli; le uscite alle 3 di notte con un altro collega di Roberto per andare a mangiare; Il Bowling al buio con le luci fluorescenti; la caccia al tesoro per trovare il negozio (che non esiste più) a Shimokitazawa per acquistare l’anello di Devilman; la prima visita al Kiddyland; Il mio primo Gizmo di pelouche
le fiere di manga e toys dove una standista ci mostrò la sua collezione privata -meravigliosa- di acetati di Lady Oscar; il mal di ganasce a forza di sorridere nel salutare tutta la famiglia Tatsunoko quando facevo compagnia a Roberto mentre lavorava; i suoi disegni che per sbaglio feci volare via dalla finestra; le ciabatte orrende di pelle da calzare all’ingresso della ditta; le incursioni notture alla Tatsunoko tra scaffali pregni di disegni, polvere e leggenda
Quando la sede storica della Tatsunoko venne demolita una parte di me è andata via con essa. Per me ha rappresentato davvero parte della mia fanciullezza, tanti ricordi rimarrano sempre legati a quel luogo compresa la nostra prima volta ❤️
Qui sopra, dietro di noi, si intravede il tavolo della scenografa che lavorava accanto a Roberto. Stava realizzando la scenografia del poster di Hurricane Polimar. Disegno che gli venne rubato proprio all’interno della ditta.
E poi quanti cartoni vedemmo assieme. In Italia sarebbero arrivati solo un paio di anni dopo. Anime quali Cowboy Bebop, Utena e A-Kite del nostro amatissimo Yasuomi Umetsu, il character designer del remake di Polimar di cui Roberto -in sole cinque notti- aveva realizzato i disegni dell’ending.
A tal proposito nell’immagine di copertina di questo articolo (la prima foto in alto), compare un genga, un disegno originale di Roberto, in cui Teru coglie di sorpesa Takeshi/Polimar e lo bacia. E’ un disegno che non avevo mai mostrato prima e al quale sono molto legata. Me lo regalò nel novembre del ’96 pochi giorni prima che si trasferisse a Tokyo. Il presagio di una dichiarazione o del nostro futuro assieme? Chissà…
Sono trascorsi esattamente 20 anni da quel primo viaggio in Giappone ed oggi, come allora, partirò nuovamente alla volta di Tokyo. Arriveremo a Narita tra una manciata di ore e Roberto sarà lì ad attenderci.
3 Comments
azz… lo potevo lasciare qui il commento invece che nel 2017 🙁 ….ehm….cough cough…. carina la foto da geishe! 😀
La foto in questione è su un altro articolo ma grazie lo stesso.
E’ proprio una gran bella storia raccontata con il cuore… La cosa buffa è che è lo stesso anno in cui andai anche io per la prima volta Tokio ma ad Agosto!!!! Altro che umidità era come nuotane nell’aria!!! MI ricordo delle cicale grandi come una mano, dei distributori di bibite ad ogni angolo di strada (rigorosamente senza acqua) di una buonissima tazza di Ramen che mangiai dopo essermi perso (cosa che accadde per ben 2 volte) e della prima volta che vidi Titanic tutto in giapponese a casa di un’amica che piangendo me lo traduceva!!! . Che dire? Ci credi se ti dico che sono davvero contento per te e per Roberto? Mi sa di no però io te lo dico lo stesso …ho solo bei ricordi di voi…:)